Giap

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Ilpoeta
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Giap

dado62
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...è vietnamita..=D

Scheriff
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Altri tempi e altre storie.......... ma per chi come me ha creduto e nonostante tutto continua a credere ancora che i piccoli possano sconfiggere i grandi è stato un mito.
r.i.p.

MotorcycleMan
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Vo Nguyen Giap nacque il 1 settembre 1910, l'anno del Cane, in una capanna illuminata da tre lumicini sempre accesi davanti all'altarino degli antenati. Questa capanna si trovava ad An Xa, un piccolo villaggio di contadini circondato da risaie e campi di granoturco, nella provincia più povera del dipartimento dell'Annam. Quel bambino sarebbe diventato un grande generale (a dispetto dell'altezza che avrebbe superato di poco il metro e cinquanta) dotato di eccezionali qualità tattico-strategiche.
Pochi anni prima si era verificato un altro di quegli episodi che da tempo caratterizzavano la penetrazione coloniale europea in Asia. Un trattato stipulato tra la Francia e la dinastia Nguyen nel 1887, infatti, aveva stabilito l'assetto delle tre regioni che si affacciano sul Mar cinese meridionale: a nord il Tonchino e le pianure coperte dal delta del Fiume rosso: a sud la Cocincina, le terre alluvionali e il largo bacino del Mekong; nella parte centrale uno stretto lembo di terra, l'Annam. L'esercito francese, bramoso di nuovi territori da colonizzare, partendo da sud aveva inizialmente occupato Saigon e la campagna circostante. Poi le truppe imperiali di Napoleone III erano risalite occupando Hué, la capitale del regno, e Hanoi, quasi al confine cinese. Proprio la Cina fomentò un tentativo di ribellione, ma dopo il bombardamento delle coste meridionali del paese, si giunse ad un accordo che sanciva l'accettazione dell'influenza francese. La crisi scatenata dalle guerre dell'oppio di alcuni decenni prima si aggravò: a Gran Bretagna e Stati Uniti, che avevano scardinato il sistema di difesa cinese e giapponese, si aggiungeva così una terza potenza di stampo europeo, che andò ad occupare i paesi non ancora colonizzati.
Il padre di Giap, un piccolo coltivatore che aveva perso quasi tutto durante la terribile carestia del 1896, aveva partecipato alla "rivolta dei letterati" repressa nel sangue alla fine dell'Ottocento. La madre era una tessitrice di canapa e lino e aiutava il marito nel duro lavoro nei campi. In casa, il bambino incominciò a studiare il quoc-ngu, la lingua nazionale, e i caratteri cinesi, imparando così a leggere e scrivere. "Mio padre mi leggeva i poemi eroici e mia madre mi parlava delle lotte contro i francesi". A tredici anni entrò nel prestigioso liceo Quoc Hoc, a Hué, dove la ristretta élite di mandarini e letterati contrastava la violenza imposta dai francesi alla cultura tradizionale. Da secoli la regione opponeva una strenua resistenza ai numerosi tentativi di invasione, fin da quando nel XIII secolo diverse generazioni avevano combattuto contro i mongoli. Giap iniziò a frequentare la casa di Phan Boi Chau, da oltre vent'anni alla testa del movimento nazionalista, e "sotto i ritratti di Sun Yat-sen, di Lenin e all'immagine di Buddha", come ricorda, ebbe la propria iniziazione politica. Nel 1929 entrò nel Partito comunista indocinese.
Negli anni Trenta Giap partecipò ai numerosi ma isolati moti insurrezionali, scontando anche una condanna a tre anni di reclusione nel penitenziario di Lao Bao. Ogni forma di dissenso era duramente repressa: nel solo 1930 si ebbero settecento esecuzioni. Uscito di prigione, Giap si sistemò in un'umida soffitta a Hanoi: sopra il letto una fotografia di Ho Chi Minh che aveva ritagliato dall'Humanité quando aveva dieci anni. Alla Scuola superiore di diritto ottenne risultati così meritevoli da indurre il professore di economia politica a proporgli un soggiorno di studio in Francia. Parallelamente collaborava con diversi giornali di sinistra, partecipando nell'ombra a tutte le iniziative del Partito. Nel 1936, con la vittoria elettorale del Fronte popolare in Francia, molti prigionieri politici furono amnistiati, fu ripristinata la libertà di stampa e i partiti vennero riconosciuti. Nella primavera del 1940, quando già la Wehrmacht agli ordini di Hitler aveva invaso la Polonia, l'Olanda e il Belgio, il Partito comunista, dichiarato nel frattempo illegale e ritornato ad operare in clandestinità, decise di mandare Giap in Cina a preparare le condizioni per la lotta di liberazione, ossia l'organizzazione di una guerriglia nell'eventualità di un'invasione dei giapponesi, che erano interessati alle risorse naturali come il caucciù, lo stagno e il tungsteno, oppure dello sbarco di truppe alleate. Nello Yunnan, infatti, erano presenti delle piccolissime cellule che dall'esterno vigilavano e tenevano in contatto le sparute organizzazioni che all'interno del paese erano state decimate. Giap, che aveva dovuto interrompere i corsi di libera docenza dopo la laurea in giurisprudenza, conobbe Ho Chi Minh: "Mi trovavo di fronte ad un uomo di una semplicità luminosa […] un uomo maturo, vestito all'europea". Dopo il crollo della Francia in Europa, Giap che stava partendo per "studiare politica" a Yenan, in Cina, dove cinque anni prima si era conclusa la Lunga Marcia guidata da Mao Tse-Tung, decise insieme ai suoi compagni di anticipare il rientro in patria per formare una capillare organizzazione nazionale, la Lega per l'indipendenza del Vietnam, il Vietminh. A settembre il Giappone si accordò con il regime di Vichy e occupò l'Indocina settentrionale per tagliare i rifornimenti alla Cina nazionalista. Il quartier generale delle forze vietnamite venne fissato in una grotta a Pac Bo, nella provincia di Cao Bang, ad un chilometro dal confine cinese. Ho Chi Minh vi arrivò l'anno seguente, dopo trent'anni di esilio trascorso in giro per mezzo mondo, negli Stati Uniti, in Francia e in Unione Sovietica. L'idea guida era di partire dal nord meno abitato, dalle regioni periferiche per scendere verso i centri nevralgici del sistema coloniale, le città disposte lungo le principali vie fluviali. E, ancor più importante, l'azione doveva vertere sulla propaganda ai livelli più bassi, tra la gente ancora abituata a miopi campanilismi e gelosie, sedimentate da secoli di rivalità e rancore. "All'inizio", scrive Giap, "l'azione politica resta sempre l'elemento essenziale, la lotta armata sta in secondo piano". Il Vietminh assumeva una veste nuova: non più uno schieramento di forze politiche diverse, unite nella lotta di liberazione nazionale, bensì un'organizzazione di massa che doveva mettere profonde radici tra i contadini che rappresentavano la maggioranza della popolazione, essendo il paese ancora estraneo al processo di industrializzazione. Giap si adoperò per apprendere i dialetti locali, per trovare efficaci metodi di insegnamento aderenti alle specifiche situazioni, inventando filastrocche o adattando testi di canzoni popolari. Se una tribù non possedeva una lingua scritta, si ricorreva a disegni e a gesti. "Per far capire che i francesi e i giapponesi sfruttavano il popolo, disegnavamo un francese e un giapponese che picchiavano un vietnamita". Vestito sempre con un paio di pantaloni di canapa e una camicia a maniche corte, allestì una fitta rete di informatori e rincorse i capi tho e man, da sempre ostili alla gente delle pianure, lungo i sentieri del Viet Bac, come nei suoi scritti viene definita la parte settentrionale del paese. I seguaci del Vietminh si calarono persino negli usi e costumi delle popolazioni che li ospitavano, seguendo antiche tradizioni come quella di limarsi i denti. Ho Chi Minh scrisse in versi le rivendicazioni del Vietminh, Giap le tradusse in lingua man. Con stupore, racconta, all'arrivo in un villaggio "ebbi la sorpresa di sentire le ragazze recitare a memoria i versi del nostro programma politico, mentre pestavano il riso e cardavano il cotone".
Intanto la guerra aveva ormai una portata planetaria: la Germania aveva rotto il patto di non aggressione con l'Unione Sovietica; l'aviazione giapponese aveva attaccato nel dicembre del 1941 la base navale di Pearl Harbour, provocando l'entrata nel conflitto degli Stati Uniti e soprattutto conferendo un'importanza strategica decisiva all'Oceano Pacifico e alle coste cinesi e del sud est asiatico. La repressione delle autorità coloniali francesi si fece durissima, costringendo moltissimi quadri del movimento indipendentista a darsi alla macchia, riservando addirittura alle forze armate giapponesi, sempre più in difficoltà, quote di riso requisite alla popolazione. L'adesione al Vietminh, anche se contrastata in ogni modo, crebbe a dismisura, soprattutto al nord, mentre nelle città anche la piccola e media borghesia si separò dalla classe dirigente francese e dall'amministrazione militare giapponese, entrate in fortissimo attrito dopo il ritorno in Francia di De Gaulle nel giugno del 1944 e la formazione del primo governo di liberazione comprendente anche i comunisti. Nella primavera del 1945 il Giappone prese il controllo del paese, costituendo un governo fantoccio con a capo Bao Dai. Una tremenda carestia, la peggiore nella storia del Vietnam, esasperò la già tesissima situazione, allargando le fila del movimento di liberazione nazionale, che si organizzò per distribuire riso e granoturco per soddisfare le esigenze primarie di centinaia di migliaia di persone ridotte alla fame. Armati di fucili e rivoltelle acquistate in Cina e di rudimentali esplosivi, l'avanzata degli uomini del Vietminh verso sud proseguì inarrestabile. Il 6 agosto una bomba atomica radeva al suolo Hiroshima; tre giorni dopo la stessa tragica sorte toccò a Nagasaki. Dopo la resa del Giappone, Ho Chi Minh e Giap guidarono la popolazione tra le strade polverose nelle campagne e nelle vie delle città liberate. Il 2 settembre, dopo che l'imperatore Bao Dai aveva abdicato, consegnando la spada e i sigilli imperiali ai delegati del Vietminh, Ho Chi Minh sanciva, tra centinaia di bandiere rosse con la stella d'oro a cinque punte, la nascita della Repubblica democratica del Vietnam. La solenne dichiarazione di indipendenza incominciava con le stesse parole di quella americana del 1776: "Tutti gli uomini nascono uguali; ad essi il Creatore ha concesso alcuni diritti inalienabili come la vita, la libertà ed il perseguimento della felicità". Giap, che ormai aveva aderito integralmente all'ideologia marxista, venne nominato ministro dell'Interno e capo delle Forze Armate. Gli Alleati, però, avevano idee diverse. A Potsdam, a luglio, il Vietnam era stato addirittura diviso in due parti lungo il sedicesimo parallelo: a nord duecentomila soldati del Kuomintang, che avrebbero dovuto sostituire i giapponesi; a sud gli inglesi e i francesi, decisi a ristabilire l'ordine prebellico. In un primo momento la Francia e Ho Chi Minh, che si recò appositamente a Parigi, si accordarono per una convivenza, fin da subito però sentita come labile e precaria; nel dicembre del 1946, dopo lo scoppio di violenti scontri nella cittadina portuale di Haiphong, le trentamila unità dell'Armata di liberazione del Vietnam e le forze del corpo di spedizione francese erano in guerra. In Francia avevano avuto il sopravvento i temi della grandeur e della mission civilisatrice, individuati come valvola di sfogo ai problemi della fragile Quarta Repubblica. Da una parte uno stato industrializzato, anche se enormemente debilitato dalla guerra, dall'altra un piccolo paese scarsamente popolato che si basava esclusivamente su un'economia agricola di sussistenza.
Da questi dati evidenti e imprescindibili partì l'analisi politica di Ho Chi Minh, "Sarà la lotta fra una tigre e un elefante" profetizzò, e quella militare di Giap, che mai aveva messo piede in un'accademia militare. "La lotta armata popolare è la scuola migliore", ha sempre risposto a chi gli obiettava una scarsa preparazione bellica. La sua passione era la lettura delle campagne militari napoleoniche, dei testi di Clausewitz e degli insegnamenti dei condottieri vietnamiti che si erano opposti nel corso di duemila anni ad ogni tentativo di occupazione. In un manoscritto di Tran Hung Dao, il grande condottiero che guidò nel XIII secolo la resistenza contro i mongoli, Giap ebbe modo di apprendere i capisaldi della strategia militare per un piccolo paese come il Vietnam: frasi come "vincere il grande numero col piccolo numero", "colui che si farà disprezzare dal popolo sarà necessariamente sconfitto", oppure "il nemico si basa su grandi eserciti, noi su piccole formazioni" vennero assimilate con facilità e riadattate al nuovo periodo storico. Era necessaria una guerra di lunga durata che impegnasse il nemico in difficili operazioni militari tra la vegetazione e le montagne, rendendo i costi dell'occupazione esorbitanti e riducendo sempre più le zone controllate dall'esercito francese. Nelle parole di Giap, "imporre al nemico il proprio metodo di lotta". La guerriglia era solamente l'inizio, in seguito si sarebbe dovuti passare all'offensiva, calcolata e mirata, con l'evoluzione strategica verso una guerra di movimento, in grado di portare ad un'effettiva vittoria dopo una paziente opera di logoramento. Era la fase iniziale della "guerra del popolo", di cui fu il principale teorico ed esecutore. Dopo due anni di ferventi preparativi, in cui vennero assemblati migliaia di fucili in fabbriche mimetizzate nella giungla, le forze di liberazione attaccarono le guarnigioni francesi nel Tonchino: in poche ore l'impacciata resistenza venne meno. Il Comando generale francese decise di reagire, rinforzando con centinaia di fortini i propri avamposti; i tentativi di incursione in territorio nemico, in cui per la prima volta venne utilizzato il napalm davanti alle truppe che avanzavano allo scoperto, erano risultati controproducenti. Infatti, le perdite del Vietminh erano altissime, ma le postazioni conquistate non potevano essere tenute a lungo, poiché l'ambiente circostante era assolutamente sfavorevole. Nel settembre del 1950 il Presidente degli Stati Uniti, Harry Truman, all'interno della politica di containment così fortemente propagandata, decise l'invio di carichi di armi e munizioni alla Francia. Giap comprese la necessità di disperdere le forze occupanti ad occidente, oltre il delta del Fiume rosso, per agire su un campo di battaglia più vasto e poter così scegliere tra i diversi punti deboli dell'avversario. E così fece, invadendo il Laos e penetrando in profondità nella parte settentrionale della Cambogia. Gli ufficiali francesi, abituati al rigido indottrinamento della famosa Accademia militare di Saint Cyr, non seppero elaborare una strategia altrettanto efficace. Alla fine del 1953, le perdite nell'esercito francese iniziarono ad essere sensibili, scatenando accese proteste dell'opinione pubblica. Il nuovo tenente generale Henri-Eugène Navarre decise allora, per allentare la pressione e ricucire le ferite al di là della frontiera, in modo da impedire l'entrata delle forze del Vietminh nel Vietnam centrale dal Laos, di passare all'offensiva, sfidando l'esercito popolare vietnamita in campo aperto. I paracadutisti occuparono la conca di Dien Bien Phu, proprio al confine con il Laos, dove fu costruita una base aerea di appoggio alle truppe di terra. La postazione, che poi si rivelò fatalmente una chiusa roccaforte poco difendibile, avrebbe dovuto essere la testa di ponte per rapide sortite all'interno del territorio nemico. Il 13 marzo 1954, cinquantamila uomini agli ordini di Giap iniziarono l'assedio a Dien Bien Phu, coronando una paziente manovra durata sette anni. "Avevamo creato le condizioni di una battaglia decisiva su un teatro operativo scelto e preparato da noi". Dopo cinquantacinque giorni di combattimento, la base cadde nelle mani delle forze vietnamite, rendendo vano il sacrificio di diecimila soldati francesi, uccisi dal fuoco nemico e dalla mancanza di rifornimenti e di collegamenti con l'esterno. Gli esperti militari francesi avevano ritenuto che Dien Bien Phu fosse troppo distante dalle basi del Vietminh: la principale via di comunicazione, la strada provinciale n. 41, sarebbe stata facilmente bombardata dai Dakota dell'aviazione. Due cose non avevano previsto: in primo luogo, le colonne di contadini passavano tra la fitta vegetazione, risultando invisibili; in secondo luogo, la contraerea allestita con l'aiuto cinese costrinse i piloti a tenersi a oltre quattromila metri di altezza, rendendo inoltre impreciso anche il lancio di viveri ai soldati all'interno della base. L'artiglieria dell'esercito popolare, che aveva perso ottomila uomini, aveva sparato oltre centomila colpi. Decine di migliaia di contadini avevano provveduto al rifornimento delle forze di Giap portando a spalla, su biciclette e su carri trainati da bufali, cibo e medicinali. Navarre nelle sue memorie racconta di un "formicaio umano". Decisivo fu l'appoggio al Vietminh, che appena prima dell'offensiva aveva decretato la distribuzione della terra, da parte dei bo-doi, ossia dei "soldati-contadini".
Il governo di Parigi decise di abbandonare la regione. Con il ritiro francese si ponevano le premesse per l'entrata in scena degli Stati Uniti, appena usciti dalla guerra in Corea e impegnati ad arginare l'espansione della neonata Repubblica popolare cinese nel sud est asiatico. Gli aiuti economici al Giappone ne erano una lampante dimostrazione. Il 20 luglio a Ginevra vennero firmati gli accordi di pace che prevedevano la temporanea divisione del paese lungo il diciassettesimo parallelo, in attesa di elezioni da tenersi in tutto il paese entro due anni. Elezioni che non ebbero mai luogo per la ferrea opposizione degli Stati Uniti, che procedettero al rafforzamento del regime di Ngo Dinh Diem al sud, definito con disprezzo da Giap "Stato da operetta", perché temevano una netta vittoria dei seguaci di Ho Chi Minh. Il problema più urgente era quello di combattere la fame nelle campagne, frequentemente minacciate da inondazioni e siccità; l'avvio di una riforma agraria, per superare il consolidato sistema feudale ancora dominante, provocò una strenua resistenza in molte regioni del paese, contrarie all'assimilazione e all'omologazione. Giap, cui fu affidato il compito di rimediare agli abusi commessi e di riformulare una più accomodante politica sociale, venne nominato Vice primo ministro, comandante in capo delle Forze Armate e ministro della Difesa. Nella sua casa alla periferia di Hanoi, iniziò a scrivere i resoconti di tanti anni passati in trincea: "Guerre du peuple, armée du peuple", mirabile spiegazione dell'organizzazione politico-militare della "guerra del popolo", venne terminato nel 1961.
Intanto la guerra fredda rafforzava la divisione del mondo in zone di influenza, che nelle regioni di contatto scatenavano tensioni e forti attriti. Nel 1960 nella foresta della Cocincina nasceva il Fronte nazionale di liberazione del Vietnam del sud che, così come anni prima il Vietminh, accolse al proprio interno le tendenze politiche più disparate, dal partito socialista ad associazioni religiose buddiste; l'anno seguente, gli Stati Uniti decisero di incrementare il numero di consiglieri militari statunitensi sino a quindicimila uomini. A novembre del 1963, appena prima dell'assassinio di John F. Kennedy, un colpo di stato appoggiato dagli Stati Uniti depose l'ormai ingovernabile Diem. Pochi mesi dopo il generale William Westmoreland assunse il comando delle forze armate nel Vietnam del sud; contemporaneamente il Congresso statunitense, in seguito all'incidente del golfo del Tonchino, dove si era avuto uno scontro tra alcune corvette nordvietnamite ed unità navali della marina statunitense, autorizzava il nuovo Presidente Lyndon Johnson ad ordinare attacchi di rappresaglia contro il nord del paese. L'8 marzo 1965 i primi tremilacinquecento marines sbarcarono nel porto di Da Nang, avviando una rapidissima escalation militare: entro la fine dell'anno gli effettivi salirono a quasi duecentomila uomini. Da Hanoi, Giap rispose con l'invio di uomini ed armi al Fronte nazionale di liberazione.
La seconda guerra di liberazione era iniziata. Differenti erano le variabili geografiche e politiche rispetto a vent'anni prima: il campo di battaglia comprendeva un territorio estesissimo, l'avversario non era più una potenza coloniale, bensì una superpotenza che vedeva il Vietnam come una pedina in una scacchiera più vasta. La disparità tra i due eserciti era netta, mancando al governo di Hanoi persino un'efficace marina per presidiare le coste e disponendo di un'aviazione esigua e arretrata. Solamente la contraerea, che per molto tempo evitò il crollo sotto i bombardamenti dei giganteschi B-52 dell'aviazione statunitense, si dimostrò all'altezza, grazie all'acquisto di moderne batterie missilistiche di produzione cinese. Giap escogitò la costruzione di minuscoli nascondigli sotterranei,
utilizzabili soltanto dai suoi uomini e un sistema pianificato di trappole rudimentali poste in ogni via di comunicazione; per limitare i bombardamenti aerei ordinò ai soldati di mantenere sempre un contatto con il nemico e di allontanarsi soltanto quando fosse strettamente necessario. Per aggirare e confondere il nemico e per rifornirsi di armi e vettovaglie si pianificarono sconfinamenti in Cambogia e in Laos attraverso la "pista di Ho Chi Minh", una fitta serie di strade in terra battuta, di sentieri e di guadi percorsa da secoli dalle tribù di nomadi e dai contrabbandieri di oppio. L'idea avanzata dal Segretario di Stato McNamara di un presidio costante del diciassettesimo parallelo per dividere in due parti rigidamente separate il Paese, venne abbandonata sul nascere. Il tentativo di Westmoreland, eletto nel 1965 dalla rivista Time "uomo dell'anno", di minare l'appoggio della popolazione all'esercito di liberazione risultò sempre vano. I dirigenti politici vietnamiti sapevano quale fosse il punto debole degli Stati Uniti: il non potersi impegnare in una logorante e dispendiosa guerra. Dopo pochi mesi di ostilità, Giap riassunse le contraddizioni della condotta degli Stati Uniti: essi "presentano rilevanti debolezze sul piano morale e politico", poiché erano visti come estranei, come aggressori, come i sostituti dei francesi, intenti soltanto ad imporre ai Paesi del nascente Terzo Mondo nuovi sistemi di asservimento. La sistematica distruzione di porti, villaggi e risaie non faceva che confermare tali accuse. Eccidi come quelli di Song My e Bien Hoa e la strage commessa nel villaggio di My Lai per ordine del capitano William Calley, allontanarono definitivamente la popolazione locale dall'accogliere l'aiuto che era loro offerto. Nel testo di Giap la parola "neocolonialismo", indicato come "il nemico numero uno di tutti i popoli del mondo", compare ripetutamente e la conclusione - lo scritto è del gennaio del 1966 - lascia attoniti davanti a tanta sicurezza e lucidità analitica: "Queste debolezze li condurranno inevitabilmente alla sconfitta totale". Poco prima dell'offensiva del Tet, all'inizio del 1968, Giap dichiarò al quotidiano francese Le Monde che se dopo così tanti mesi di scontri l'esercito statunitense, che aveva raggiunto le cinquecentomila unità, non aveva ancora avuto il sopravvento, allora non avrebbe mai potuto domare la resistenza del popolo vietnamita. "Gli Stati Uniti fanno la guerra con l'aritmetica. Interrogano i loro computer, fanno somme e sottrazioni e su quelle agiscono. Ma qui l'aritmetica non è valida: se lo fosse, ci avrebbero già sterminato". L'offensiva del Tet, il capodanno lunare del calendario cinese che cade di solito a fine gennaio, consacrò il genio militare di Giap e fece perdere agli Stati Uniti ogni residua speranza di vittoria. Parallelamente all'attacco alla base di Khe Sanh, in mezzo all'Annam, i vietcong si infiltrarono in trenta città e penetrarono in ventiquattro basi militari, riuscendo ad entrare persino nell'Ambasciata americana a Saigon. I generali statunitensi si trovarono così ad affrontare una guerra popolare generalizzata, cui non era possibile opporre resistenza, e furono costretti a adottare una strategia difensiva su larga scala per non lasciare scoperto nessun insediamento. Fu chiaro fin da subito che per uscire vincitori dal conflitto si sarebbero dovuti sopportare costi enormi. Non si ebbe però l'attesa sollevazione generale, così spettò alla diplomazia il difficile compito di porre fine al conflitto. A livello internazionale e persino all'interno degli Stati Uniti si rafforzarono movimenti di protesta e di opposizione alla prosecuzione del conflitto. Richard Nixon, dopo la rinuncia ad una nuova candidatura di Johnson e l'ammissione del fallimento della sua politica nel sud est asiatico, decise di aprire negoziati segreti con Cina e Unione Sovietica, che secondo i rapporti della CIA facevano arrivare ogni mese nel paese oltre seicentomila tonnellate di aiuti. Si procedette alla "vietnamizzazione" del conflitto, ossia al ritiro dei marines e alla loro sostituzione con forze locali: nel 1972 gli effettivi dell'esercito sudvietnamita superarono la soglia del milione di uomini. Il 15 agosto del 1973 venne sganciata l'ultima bomba sul Vietnam: l'armistizio firmato a Parigi sospese le ostilità. Il 30 aprile 1975 la resa di Saigon decretò la vittoria del Fronte nazionale di liberazione, che aveva superato indenne anche la perdita della propria guida carismatica Ho Chi Minh, morto il 3 settembre del 1969. In poco più di dieci anni, quattro milioni di civili e quasi un milione di militari nordvietnamiti erano caduti sotto i colpi delle armi dell'esercito degli Stati Uniti, che registrarono cinquantasei mila perdite. I B-52 avevano sganciato una quantità di bombe tre volte maggiore di quella lanciata dagli alleati durante la seconda guerra mondiale.
Di Giap, che da diversi anni si è ritirato a vita privata, un ultimo aneddoto: durante un'intervista rilasciata ad un giornalista francese subito dopo Dien Bien Phu, alla domanda di maggiori chiarimenti sulla battaglia, il piccolo generale - supera di poco il metro e cinquanta - cominciò a disporre sul tavolo le tazze, i biscotti, i piattini e la teiera per far comprendere al suo interlocutore ogni singolo ordine impartito. Giap ha sempre raccontato con passione i particolari sia della cacciata dei giapponesi nel 1945, in seguito alla quale per la prima volta nel ventesimo secolo una colonia si dichiarò indipendente; sia del contribuito decisivo, con l'assedio a Dien Bien Phu, alla prima sconfitta di una potenza europea in Asia; sia, infine, della guida sapiente dell'esercito di liberazione nazionale, che ha condannato gli Stati Uniti all'unica sconfitta militare della loro storia.

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Iscritto: 29/1/2010

103 anni ...non sono da tutti, una cosa però l'ho notata, era nato nell'anno in cui sono nati TUTTI i nostri governanti.......l'anno del cane, ho più rispetto peri cani quelli a 4 zampe tanto per intenderci